TFS differito: attesa la pronuncia della Corte Costituzionale per il prossimo 9 Maggio
Una opportunità unica per eliminare la disparità con il TFR dei privati
Siamo oramai a pochi giorni di distanza dall’attesissimo pronunciamento della Corte Costituzionale “sulla rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del d.l. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, per contrasto con l’art. 36 Cost.”. Norme che hanno imposto per i lavoratori pubblici il differimento della corresponsione del TFS (Trattamento di Fine Servizio) maturato al momento del collocamento in pensione, e poi anche il suo frazionamento in più rate.
Il 9 maggio prossimo, infatti, la Corte Suprema deciderà in merito all’ordinanza del TAR Lazio, la n. 6223 del 17 maggio 2022, con la quale il Tribunale si è pronunciato sul ricorso di un Dirigente della Polizia di Stato in pensione, che ha chiesto di vedersi riconosciuto il diritto a percepire il TFS senza dilazioni e senza rateizzazioni, e la condanna del Ministero degli Interni al risarcimento del danno da ritardato pagamento.
Con detta ordinanza il TAR Lazio ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità del differimento relativo al pagamento del TFS ritenendo che “la previsione di un pagamento rateale comprima in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale”.
Il punto nodale della questione rimessa alla Corte è che la disciplina normativa ha progressivamente dilatato per i dipendenti pubblici i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre l’art. 36 Cost. stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Retribuzione che, a giudizio del TAR, non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e deve essere, oltre che adeguata, anche tempestiva, in quanto “è evidente che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente”.
E’ ben vero che nel nostro ordinamento sono sicuramente ammesse alcune deroghe all’applicazione meccanica dei principi costituzionali, tra cui quello dell’art. 36 Cost., ma solo a fronte di una situazione di crisi contingente e comunque entro un termine temporale certo. Termine che, per quanto attiene l’erogazione del TFS, è stato invece ulteriormente aggravato, da ultimo con la legge di stabilità del 2014, mentre “la Corte ha più volte affermato il principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare lo scrutinio di costituzionalità, non può riguardare un arco temporale indefinito… e deve atteggiarsi quale misura una tantum (sentenze n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016)”.
A questo, si aggiungano le sollecitazioni venute al Legislatore da parte della stessa Corte Costituzionale per “la ridefinizione della disciplina… nell’ambito di una organica revisione dell’intera materia”, tutte peraltro cadute miseramente nel vuoto, e che sono anche esse alla base dell’attuale, ingiusta disparità nei trattamenti di fine rapporto tra lavoratori pubblici e privati, questione che da lungo tempo CSE e FLP hanno sollevato con forza, più volte e in più sedi.
Come noto, infatti, a differenza del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) che i lavoratori privati percepiscono in tutto il suo maturato economico al momento del collocamento in pensione, il TFS, destinato specificatamente ai lavoratori pubblici e che ricomprende diversi tipi di liquidazione (Indennità di Buonuscita (IBU), destinata ai dipendenti dei Ministeri, delle Agenzie Fiscali, della Scuola, dell’AFAM e dell’Università; Indennità Premio di Servizio (IPS) per dipendenti degli Enti Locali, delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale; Indennità di Anzianità (IA) per i dipendenti degli Enti Pubblici non Economici e Camere di Commercio) viene invece erogato in tempi molto più lunghi e che, in base all’art. 3 D.L. 28.03.1997, n. 79, differiscono tra loro in ragione della causa di cessazione del rapporto di lavoro:
- entro 105 giorni,in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso;
- dopo 12 mesidalla cessazione del rapporto di lavoro, nell’ipotesi in cui questa sia avvenuta per raggiungimento del limite di età oppure per risoluzione unilaterale del datore di lavoro a seguito del raggiungimento dei requisiti della pensione anticipata;
- dopo 24 mesidalla cessazione in tutti gli altri casi (dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento/destituzione, ecc.).
In aggiunta, i tempi di liquidazione del TFS sono diversi in relazione alla somma maturata da erogare:
- un’unica soluzione, se l’importo è pari o inferiore a 50mila euro;
- due rate annuali, se l’importo è compreso tra 50mila euro e inferiore 100mila euro, la prima pari a 50.000 euro e la seconda pari all’importo residuo;
- tre rate annuali, se l’importo è pari o superiore a 100mila euro.
Come noto, da qualche anno e più precisamente dal 2020, è intervenuta la possibilità per il neo pensionato pubblico di richiedere in banca un anticipo del proprio TFS/TFR in base a uno specifico accordo intercorso tra Governo e ABI (Associazione Bancaria Italiana), nei limiti dell’importo netto di 45.000 € (ma alcune banche consentono anche l’anticipazione di tutto il TFS maturato con “cessione ordinaria” ex DPR 180/1950), ma con costi bancari pesanti, che arrivano oggi anche al 4% a causa dell’aumento dei tassi di interesse e del c.d.“rendistato”. Più recentemente, anche INPS ha reso possibile l’anticipo di TFS/TFR a costi più contenuti (1% fisso dell’importo erogato con l’aggiunta di un ulteriore 0,50% una tantum per spese di amministrazione), ma anche in questo caso con costi aggiuntivi seppur minori, e con il limite del finanziamento a disposizione.
Siamo allora di fronte a una palese, ingiusta e incomprensibile disparità di trattamento dei lavoratori pubblici nei confronti di quelli privati, che peraltro fa il paio con altre disparità esistenti nel raffronto TFR/TFS, come la possibilità per i privati di richiedere fino al 70% del TFR maturato per spese sanitarie, acquisto prima casa e spese in congedo, possibilità questa negata allo stato ai lavoratori pubblici.
Per questo, memori della posizione espressa dalla stessa C.C. (sentenza n. 159/2019) sulla equiparazione tra TFS e TFR, i lavoratori pubblici attendono con interesse il pronunciamento del 9 maggio della Corte, che potrebbe risolvere una volta per tutte la spinosissima questione della differenza di trattamento pubblico/privato in materia di TFS/TFR, che, in una intervista di qualche mese fa comparsa sul Messaggero, il nostro Segretario Generale Marco Carlomagno ha definito una “vergogna assoluta”.
Con l’auspicio che il paventato alto costo per le casse dello Stato di un eventuale pronunciamento favorevole (oltre 10 miliardi di euro solo a fronte dei pensionamenti del prossimo anno) non incida sulla decisione finale, e con la viva speranza che, in materia di trattamenti di fine rapporto, le norme tra pubblico e privato possano essere finalmente tra loro allineate, e che conseguentemente i lavoratori pubblici possano percepire tutto il TFS maturato al momento del collocamento in pensione.
Daremo naturalmente conto del pronunciamento della Corte, non appena lo stesso sarà reso noto.