Si è tenuta oggi in Aran una riunione con le Confederazioni sindacali rappresentative delle Aree funzionali e della dirigenza con all’odg la definizione del nuovo CCNQ per l’individuazione dei comparti di contrattazione. Attività questa prodromica all’avvio della stagione del rinnovo dei contratti del lavoro pubblico per il triennio 2019-2021.

L’incontro di oggi ha costituito la ripresa del confronto sulla materia, interrotto da molti mesi dopo un primo ciclo di incontri avviati dalla precedente Presidenza dell’Aran. L’ambito in cui la negoziazione può muoversi è però indubbiamente ristretto. Le norme volute dall’allora Ministro Brunetta hanno posto un limite massimo per legge, pari a quattro, al numero di comparti, per cui ogni eventuale modifica deve muoversi – a invarianza normativa – in questo ambito.

E’ di tutta evidenza che l’attuale situazione non fotografa in modo soddisfacente le peculiarità delle diverse Amministrazioni e, in parecchi casi, appare insoddisfacente a riconoscere per via negoziale le specificità che caratterizzano il complesso mondo delle nostre Pubbliche amministrazioni.

Ma oggi, a fronte di un quadro politico caratterizzato da una assoluta incertezza e precarietà, che sicuramente non facilita un eventuale cambio di orientamento sulla materia, non sottoscrivere l’Accordo quadro, che lo ripetiamo è condizione preliminare per l’avvio dei negoziati per il rinnovo dei CCNL, a nostro parere è del tutto sbagliato, perché offre solo un alibi alle controparti per ritardare l’emanazione degli Atti di indirizzo e rinviare sine die l’avvio delle contrattazioni.

La priorità per la CSE è il rinnovo dei contratti scaduti ormai da più di due anni, seppure le risorse economiche stanziate nelle leggi di bilancio, non appaiono ancora sufficienti a garantire contratti in linea con le attese delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un decennio di blocco e dei contratti per il triennio 2016-2018 assolutamente insoddisfacenti sotto il profilo economico e peggiorativi dal punto di vista normativo e ordinamentale.

Proprio perché, a prescindere dalle iniziative da noi messe in atto per incrementare le risorse disponibili, che intendiamo intensificare quando sarà più chiaro lo scenario derivante dalla crisi di governo in corso, è necessario che inizi senza indugio il confronto per affrontare da subito le grandi questioni relative ai nuovi ordinamenti professionali, alle sfide imposte dalla pandemia, con riferimento alle nuove modalità lavorative dello smart-working a regime, e alla conseguente necessità di assicurare nuove e adeguate tutele a questa forma lavorativa che rischia di essere non regolata, o lasciata alle iniziative normative e alla discrezionalità della dirigenza di turno.

Perché vanno superate le ingiuste penalizzazioni oggi vigenti sul trattamento di malattia, sul diritto alla salute, sulle decurtazioni delle indennità di amministrazione, sul mancato riconoscimento del diritto alla carriera. Per ridare voce alle lavoratrici e ai lavoratori e ai loro rappresentanti, riportando alla contrattazione tutti gli aspetti relativi all’organizzazione del lavoro e degli orari, della formazione e della digitalizzazione, condizioni necessarie per affrontare al meglio i prossimi mesi e le sfide che le Amministrazioni dovranno affrontare per assecondare i progetti di rilancio economico e sociale post pandemia.

La CSE ritiene che una parte consistente delle risorse che dovranno affluire dal recovery fund ai progetti di riforma e modernizzazione della PA vadano destinate non solo alle infrastrutture logistiche e infrastrutturali, ma anche allo sviluppo e alla valorizzazione delle risorse umane, attraverso una straordinaria operazione di nuove assunzioni e di formazione diffusa e mirata, per ridefinire i processi lavorativi, i profili e gli inquadramenti all’interno dei nuovi ordinamenti professionali.

Questi sono i motivi per i quali la CSE ha ribadito la necessità di fare presto, senza indugiare in teatrini al rimpallo che rispondono solo alla logica miope di disegnare i comparti di contrattazione a seconda di come si è presenti o meno nelle diverse amministrazioni, mettendo al primo posto non gli interessi de personale, ma quelli della propria sopravvivenza sindacale.

Se si tratta di fare qualche aggiustamento all’interno dei comparti lo si faccia, presto e bene, senza però, come è avvenuto ieri in riunione da parte di alcuni, mettere in discussione lo specifico comparto della Presidenza del Consiglio, previsto esplicitamente dalla norma, solo perché in quell’importante e nevralgico settore, non si è presenti sindacalmente, giocando pretestuosamente sullo stallo oggi in corso in quell’Amministrazione per il rinnovo del CCNL 2016-2018.

La CSE in questi mesi ha lavorato con impegno per dare ai lavoratori della PCM un buon contratto, consapevole della necessità di allineare temporalmente questo comparto alla stagione dei rinnovi precedenti senza fargli perdere risorse stanziate e arretrati maturati, contribuendo alla stesura di un’ipotesi che al momento vede aderire Organizzazioni sindacali con una rappresentatività pari al 50, 18 % , non ancora sufficiente a dare validità ed esigibilità all’accordo.

Su questo siamo impegnati, anche in queste ore, per superare le difficoltà e le resistenze manifestatesi, denunciando anche le strumentalità e la pericolosità delle decisioni assunte dalle OO.SS. ad oggi contrarie, cercando però sempre di lavorare per costruire un consenso maggiore nell’interesse del personale.

Senza che questo significhi in alcun modo mettere in discussione lo specifico comparto di contrattazione che per la CSE è non solo previsto per legge, ma anche necessario e funzionale.

La riunione è stata aggiornata alla prima decade di febbraio.

 

La Segreteria Generale CSE

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