Varata dal parlamento la legge di bilancio per il 2023

Quota 103 per pochi, opzione donna depotenziata e proroga ape sociale

Cambiate le regole per la perequazione; per molti, minori aumenti da Gennaio

All’alba del 24 dicembre u.s., e dunque alla vigilia di Natale, la Camera ha approvato, con voto di fiducia, il maxiemendamento presentato dal Governo al Disegno di legge – Atto Camera n. 643 – sulla manovra di bilancio per l’anno 2023. Lo stesso provvedimento è stato poi votato – sempre con voto di fiducia – in data odierna dall’altro ramo del Parlamento, che non ha apportato alcuna modifica o integrazione nel testo approvato dalla Camera e ciò per renderne possibile la pubblicazione in G.U. entro il corrente anno, e di conseguenza l’entrata in vigore dal 1° gennaio p.v., scongiurando così l’esercizio provvisorio.

L’articolato votato dai due rami del Parlamento dà così corpo alla legge di bilancio 2023. Per quanto attiene alle pensioni, pochissime appaiono le novità rispetto a quanto previsto dal disegno di legge presentato dal Governo il 29 novembre u.s., il cui impianto il Parlamento ha confermato in pieno.

Le norme in legge di bilancio che riguardano le pensioni fanno riferimento ai seguenti commi: nn. 218-220 (quota 103, testo invariato rispetto al DDL); nn. 221-222 (incentivi al trattenimento in servizio dei lavoratori, testo sostanzialmente invariato rispetto al DDL); n. 223-226 (Ape Sociale, testo identico al DDL); nn. 227-227 bis (Opzione donna, testo sostanzialmente invariato rispetto al DDL); infine, i nn. 235 e 236 (perequazione pensioni per gli anni 2023 e 2024, testo parzialmente modificato rispetto al DDL).

Ciò detto, entriamo ora nel merito delle misure definitive recate dalla legge di bilancio oggi approvata:

  • “QUOTA 103” (c.d. “pensione anticipata flessibile”): al fine di evitare l’entrata a regime dei requisiti previsti dalla riforma Fornero del 2011, che prevede come noto uscite dal lavoro a 67 anni per anzianità o con 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi in via anticipata, la legge di bilancio contiene un nuovo schema di anticipo pensionistico che consentirà di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica (62 + 41= 103). Per quanto attiene ai tempi di uscita dal lavoro, è prevista una finestra mobile di tre mesi per i lavoratori privati che maturano i requisiti nel 2023 e di sei mesi invece per i lavoratori pubblici (per chi maturasse invece i requisiti nel 2022, le finestre mobili decorreranno rispettivamente dal 1° aprile e dal 1° agosto 2023). I dipendenti pubblici sono tenuti a presentare la domanda di pensionamento alla propria Amministrazione con un preavviso di sei mesi.

“Quota 103” prevede in aggiunta un tetto dell’assegno pensionistico pari a 5 volte il trattamento minimo (circa 2.650 € lordi) da applicarsi sino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (67 anni), il che comporterà, per il periodo di pensione pre-67 anni, una decurtazione dell’assegno.

Confermata pure l’introduzione di un incentivo economico a restare al lavoro: chi matura i requisiti per “quota 103” e decidesse invece di non usufruirne restando così a lavorare, avrà il diritto di chiedere al proprio datore di lavoro di non pagare più i contributi all’Ente previdenziale e di accreditarli viceversa direttamente nella busta paga, aumentandone così l’importo di circa il 10%.

Come si ricorderà,  come CSE  FLP  Pensionati chiedevamo da tempo la possibilità di uscita dal lavoro

con 41 anni di contributi, ma senza ulteriori vincoli e condizioni. La scelta del Governo è stata invece quella di dire sì al requisito dei 41 anni di servizio, ma coniugandolo con il vincolo anagrafico dei 62 anni d’età, il che ne limita fortemente l’utilizzazione (le stime parlano di 42mila lavoratori potenziali fruitori, il più uomini, dunque davvero tanto fumo e poco arrosto), e ulteriormente limitante ci appare il tetto previsto per l’assegno pensionistico. E per quanto attiene all’incentivo economico previsto per chi resta al lavoro, va detto che l’aumento della busta paga avrà come contraltare il minor importo della futura pensione, che senza quei contributi sarà ovviamente più leggera.

  • “OPZIONE DONNA”: rispetto ai requisiti sino ad oggi previsti (35 anni servizio e 59 anni d’età, 60 per le lavoratrici autonome), la legge di bilancio ne prevede la proroga, ma con modifiche peggiorative.

I requisiti di servizio da maturare entro l’anno in corso saranno sempre i 35 anni, ma si uscirà solo con 60 anni d’età e a condizione di rientrare in una delle seguenti categorie, uguali a quelle dell’APE Sociale: caregiver da almeno 6 mesi (il caregiver è un familiare che si prende cura, assiste e supporta il proprio caro, generalmente anziano, nei momenti di malattia e di difficoltà); riduzione della capacità lavorativa pari almeno al 74%; donne licenziate o lavoratrici dipendenti da imprese per le quali è stato avviato un tavolo di crisi (per quest’ultima categoria, il requisito è sempre ridotto a 58 anni).

Dunque, rispetto ad oggi, sale di un anno il requisito d’età anagrafica per l’accesso a opzione donna (da 59 a 60 anni), che si riduce a 58 anni con due figli e a 59 con 1 figlio, ma in generale si restringe la platea delle donne potenziali utilizzatrici, limitate alle categorie precedentemente richiamate. E in aggiunta la legge di bilancio riconferma il ricalcolo interamente contributivo per la determinazione dell’importo della pensione, che continuerà così produrre le ben note penalizzazioni (fino al 30%).

Francamente ci sfuggono le ragioni di una scelta che limiterà ulteriormente l’utilizzo di “opzione donna” penalizzando così ancor di più le lavoratrici. Come CSE FLP Pensionati, avevamo chiesto invece la conferma negli attuali requisiti di “opzione donna”, cancellandone solo l’obbligo di ricalcolo contributivo, e continuiamo a pensare che quella era la strada giusta da imboccare.

  • “APE SOCIALE”: viene prorogata a tutto il 2023, ed è l’unica proroga senza modifiche, con la piena riconferma dei requisiti di accesso previsti dalla L. 30.12.2021, n. 234, che ne aveva peraltro allargato la platea: 63 anni di età e 30 anni di contributi per disoccupati, caregiver, lavoratori con handicap pari ad almeno il 74%; sempre 63 anni ma con 36 anni di contributi, invece, per addetti a mansioni gravose o pesanti, che debbono essere state effettuate per 6 anni negli ultimi 7, o per 7 anni negli ultimi 10.

Come CSE FLP Pensionati, confermiamo il nostro giudizio positivo sulla proroga di APE Sociale che avevamo peraltro ripetutamente richiesto, anche se avremmo voluto la riduzione a 30 anni del requisito contributivo per l’APE Sociale dei lavori gravosi con l’ampliamento ulteriore delle fattispecie di attività gravose e usuranti, che nell’attuale formulazione non fotografano tutte le situazioni meritevoli di tutela che andrebbero implementate con l’inserimento di altre figure, a partire dagli operatori della sanità (personale infermieristico, OSS e socio sanitario) e socio assistenziale.

  • PEREQUAZIONE 2023: abbiamo dedicato il precedente Notiziario n. 19 del 12 novembre 2022 alle regole in essere in materia di adeguamento degli assegni pensionistici (c.d. “perequazione”) in base alla variazione percentuale che si è verificata nel 2022 negli indici dei prezzi al consumo che il MEF ha già calcolato nel 7,3 %,  regole come noto fissate dall’art. 1, comma 478, della legge di bilancio 2020 (legge 27.12.0219, n. 160), ed evidenziato gli aumenti delle pensioni previsti da gennaio 2023,   finalizzati alla tutela del loro potere di acquisto messo oggi a dura prova da una inflazione a due cifre.

Ebbene, la scelta, a nostro giudizio infelice operata dal Governo nella legge di bilancio e fatta solo

al fine di far cassa, è stata quella di modificare le regole che riguardano la perequazione delle pensioni  e di conseguenza i suoi effetti sugli aumenti delle stesse a partire da gennaio 2023.

Con le ulteriori modifiche introdotte in legge di bilancio rispetto al DDL, rispetto al 7,3 % fissato nel DM del 9.11.2022, è questo il  nuovo quadro di situazione (gli importi devono intendersi al lordo):

  • le pensioni minime (oggi 525 € al mese) godranno, rispetto al 7,3%, di un ulteriore incremento dell’1,5 % nel 2023 (elevati però a 6,4 % per i soggetti di età pari o superiore ai 75 anni, è questa la novità rispetto al DDL) e del 2,7% nel 2024, e dunque l’aumento sarà pari all’ 8.8% nel 2023 (46 €) per tutti i pensionati percettori di pensione minima ad eccezione di quelli da 75 anni in su per i quali l’aumento nel 2023 sarà pari al 13,70% (circa 600 €). Per il 2024, invece, allo stato l’aumento previsto è pari per tutti al 10% (53 €), ma è possibile che la legge di bilancio 2024 confermerà l’indicizzazione più favorevole per i 75enni, che ha sì un costo elevato (circa 5 mld all’anno) ma che a nostro avviso  ha comunque una logica più condivisibile e fa certo meno scandalo dei tanti condoni, sanatorie e penali scontate di cui la legge di bilancio 2023 è piena come un uovo, e che rappresentano davvero un pugno in un occhio per chi le tasse le paghe tutte, come i lavoratori dipendenti e i pensionati.
  • le pensioni fino a 4 volte il minimo (circa 2.100 € ) godranno di rivalutazione al 100%, pari al 7,3%;
  • fino a 5 volte il minimo (2.625 €), rivalutazione dell’85% (prima 90%) e dunque pari al 6,2 %;
  • fra 5 e 6 volte il minimo (2625-3150 €), rivalutazione del 53% (prima 75%) e dunque pari 3,8 %;
  • fra 6 e 8 volte il minimo (3150-4200 €), rivalutazione del 47% (prima 75%) e dunque pari al 3,4%;
  • fra 8 e 10 volte il minimo (4200-5250 €), rivalutazione del 37% (prima 75%) e dunque pari al 2,7%;
  • sopra 10 volte il minimo (oltre 5250 €), rivalutazione del 32% (prima 75%) e dunque pari al 2,3%.

Dunque, rispetto alle previsioni iniziali del DDL, sono state ulteriormente ritoccate le fasce di perequazione con un più 0,5% delle pensioni fino a 5 volte il trattamento minimo. Rimane però il fatto che, rispetto alle regole oggi in vigore, le pensioni a partire da 2.625 € lorde non godranno dell’intera perequazione al 7,3%, di per sé già ridotta rispetto all’inflazione attuale che, come noto, viaggia da mesi a due cifre. Il danno per molti pensionati è evidente, e la beffa è che queste risorse a loro sottratte verranno destinate a finanziare altre categorie, in primis lavoratori autonomi e flat tax.  

Se queste sono, da ora, le nuove regole di perequazione, si comprende allora bene come, all’incremento delle pensioni minime e alla riconferma della percentuale di perequazione piena per gli assegni pensionistici fino a 4 volte il minimo, farà da contraltare una perequazione più bassa del previsto a partire dalle pensioni lorde da 2100 €, che, in primis con riferimento alle fasce più basse (da 1400/1500 € netti al mese, non proprio pensioni d’oro!), subiranno una evidente perdita di potere d’acquisto, che diventerà sempre più corposa man mano che cresce l’assegno pensionistico.

In conclusione, non possiamo che confermare il nostro giudizio circa il fatto che il combinato disposto tra l’assenza di flessibilità nelle uscite dal lavoro (che permarrà tutta nel 2023, anche a fronte di “quota 103), il depotenziamento gravissimo di “opzione donna” e la minore tutela del potere d’acquisto delle attuali pensioni, costituiscono scelte penalizzanti che appaiono tutte orientate da una idea a monte di carattere politico, che è quella, per noi del tutto inaccettabile, di sottrarre risorse al sistema pensionistico per destinarle ad altri (partite IVA in primis), e dunque di fare cassa con le pensioni.

Conclusa la vicenda “legge di bilancio”, si aprirà a gennaio p.v. una partita ancora più grande: il confronto tra Parti sociali e Governo sulla riforma della Legge Fornero, sperando che sia davvero la volta buona. Il 19 gennaio prima riunione al Ministero del Lavoro, noi ci saremo con le nostre idee e le nostre proposte.

Buon 2023 a pensionate e pensionati, e a tutti coloro che stanno per diventarlo!

  

                               Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati

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